Vorrei presentare alcune osservazioni tratte da un altro documento interessante che ho trovato in questo sito www.fub.it/, Fondazione Ugo Bordoni che si occupa soprattutto di ricerca nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT).
Titolo del file è Digital Rights Management. Le tecniche di tutela dei diritti nei contenuti digitali: un freno o un impulso Allo sviluppo della società dell’informazione? Di Giuseppe
Russo e Paolo Talone (FUB).
Premesse
Il testo presenta alcune premesse interessanti:
- i DRM nascono come una necessità nei confronti della diffusione universale dei contenuti digitali: vi potrebbero essere delle conseguenze a livello di remunerazione (chiunque dovrebbe essere correttamente remunerato per ciò che produce intellettualmente e creativamente) e del riconoscimento della proprietà intellettuale che potrebbe svanire senza efficaci forme di tutela;
- c’è però un rovescio della medaglia legato al fatto che la diffusione delle opere è condotta da editori che ne acquistano i diritti e le commercializzano. In questo modo sono loro a intercettare i profitti e di conseguenza la proprietà individuale diventa remunerazione della promozione e del commercio. Ma è ancora attuale questa ripartizioni dei profitti, considerando che i costi di pubblicazione dei contenuti digitali sono in via di abbattimento?
I diritti dei fruitori
Dopo aver preso in considerazione i diritti dell'autore dell'opera (già comunque visti nel post precedente, L'opera digitale nel cyberspazio (parte seconda)), gli autori continuano con i diritti del fruitore. Questi sarebbero basati sui cosiddetti principi di uso equo e,
dunque, permetterebbero al fruitore di:
- usufruire dell'opera quando vuole (time-shift) e dove vuole (space-shift), trasferendola su supporti differenti dall'originale e usufruendone su una qualsiasi piattaforma;
- realizzarne copie sicure (backup) per evitare di rovinare o perdere l’originale;
- utilizzare la tecnologia per garantirsi tutti i diritti precedentemente menzionati.
I DRM costituiscono la firma dell’autore e l’espressione
della sua volontà? Oppure impongono modalità di utilizzo che vanno oltre al
diritto d’autore?
Non pare che i DRM siano una
ottimale soluzione (già visto
nel post precedente) anche perché non è che si deve parlare, almeno in
questo contesto, di come si
commercializza un’opera intellettuale, bensì
di un diritto che sia finalizzato alla diffusione dell’apprendimento e della
conoscenza. Certo che, come dicono gli autori, “non aiutano i
comportamenti di quegli utenti che, non ritenendo di dover pagare il dovuto ai
detentori dei diritti d’autore, inducono un calo di rimuneratività
dell’investimento nelle opere dell’intelletto”.
Dunque? Dunque, è necessario trovare un EQUILIBRIO:
“le organizzazione di categoria e gli stati non
individueranno un adeguato equilibrio fra la tutela delle opere e il loro
accesso. Il DRM non deve quindi essere una tecnologia neutra rispetto al
diritto ed alle scelte negoziali delle parti e la sua adozione non deve modificare
il sistema della proprietà intellettuale. Forse è anche possibile che esistano
altri modi per organizzare la società che non prevedano un ruolo per i diritti
di proprietà intellettuale …”
L'opera digitale ... nuove caratteristiche (?)
Vorrei, infine, proporre ultimi spunti che, come ho già ripetuto, ho trovato molto interessanti in questo documento.
Nell'epoca della Rete, i costi di
pubblicazione dovrebbe giustificare meno la remunerazione degli editori e più
quella degli autori. Così facendo, ovvero retribuendo gli autori, si otterrebbe
essenzialmente la mercificazione dello scambio delle informazioni?
Si tratta di
un punto estremamente interessante: prima si parlava di perdita dell’aureola
(Baudelaire, ovvero la perdita della sacralità del poeta che non è più un
poeta-vate), poi dell’avanzata dell’editoria che, si faceva carico del compito
di stampare e distribuire i testi, tenendosi una parte sostanziale dei profitti, e, infine, si
ritorna (o almeno si dovrebbe ritornare) all'avanzare autonomo dell’autore. In
un certo senso, dalla mercificazione dei beni intellettuali si ritorna poi,
passando per la sua commercializzazione per via editoriale, a una nuova
mercificazione in cui, forse, abbiamo gli autori fautori del ciclo completo.
Voi cosa ne pensate?
Ho usato spesso il condizionale nel paragrafo qui sopra perché c'è un ulteriore elemento da considerare. L’opera nell'epoca della Rete è dematerializzata,
non solo fisiologicamente, ma anche economicamente. Ovvero dovrebbe
incrementare l’importanza della proprietà intellettuale degli autori: come fanno notare gli autori, nell'attuale assetto esistono grandi
concentrazioni di diritti nelle mani di pochi che sono dotati degli strumenti
per valorizzarli economicamente, mentre i molti che producono spesso non
riescono a valorizzarle.
Il fatto che l’opera sia
immateriale implica che non sempre i fruitori si rendono conto del valore dell’opera
e della sua proprietà intellettuale. Ecco il meccanismo del “accedere gratis a
ciò che gratis è accessibile”. Tuttavia, è anche vero che l’utenza non deve
essere generalizzata e che spesso l’uso del file sharing è proprio degli addetti
al lavoro. A questo proposito, gli autori ricordano lo studio pubblicato nel
settembre 2003 da AT&T Labs in cui risulta che il 77% dei film illegali
diffusi e condivisi proviene dal personale assunto all’interno dell’industria
cinematografica americana.
Nessun commento:
Posta un commento