venerdì 25 gennaio 2013

Rimanere come sospesi alla fine di una storia

Libro della settimana e libro del 2011 (vincitore del Man Booker Prize): Il senso di una fine di Julian Barnes.

Non sono l'unica che lo ha pensato. Molte sono state le critiche più che eccellenti. E la mia, banale e semplice, non si discosterà più di tanto. 

Ho provato un vero interesse nella lettura, una profonda voglia di passare parola dopo parola ... al punto che, se escludo i libri fantasy (dove il mio interesse si concentra prevalentemente sull'azione), l'ultima volta che ho provato tale sensazione è stata leggendo Cecità di Saramago. Se, però, azzardo il paragone, ammetto che sento la mancanza di un po' di spessore (mea culpa).

La semplicità della storia (qui la sinossi, qui sotto una breve presentazione) segue il filo delle pagine fino ai due terzi del libro, poi dopo, come  sull'orlo di uno strapiombo improvviso, c'è un vortice di elementi che devono essere assemblati. Mi sono posta la domanda: ma quello che sto pensando, è corretto? Ho seguito bene la lettura delle parole dell'autore? O mi sono persa un pezzo? Sì, perché la sensazione è quella del rimanere sospesi: non sei sicuro delle tue inferenze e nello stesso tempo, l'autore non ti da certezze univoche. L'unica soluzione è rileggere le ultime 20 pagine, circa, e poi ritornare in quello stato di sospensione con la coscienza "a posto" perché, come lettrice, ci ha provato.


Ho già fatto capire che l'incipit del libro mi è molto piaciuto (Questo è un signor incipit!), però ci sono molti passi interessanti. Ve ne riporto alcuni. 

Ecco un’altra delle nostre paura: che la Vita potesse rivelarsi diversa dalla Letteratura. Prendi i nostri genitori erano forse materiale letterario? Tutt’al più, potevano ambire al ruolo di astanti, di spettatori, far parte di un fondale umano contro il quale avvenivano le cose reali, quelle che contano veramente. Tipo? Beh, tutte le cose di cui si occupa la Letteratura: amore, sesso, morale, amicizia, felicità, sofferenza, tradimento, adulterio, bene e male, eroi e cattivi, colpevole e innocenti, ambiziosi, potere, giustizia, rivoluzione, guerra, padri e figli, madri e figlie, l’individuo in rapporto al sociale, il successo e il fallimento, l’omicidio, il suicidio, la morte, Dio. E i gufi reali.
(pp. 16-17)

… la vita è un dono elargito non a seguito di una qualsivoglia richiesta; l’essere pensante ha il dovere filosofico di esaminare sia la natura dell’esistenza sia le condizioni in cui essa si manifesta; e, infine, se tale persona decide di rinunciare al suddetto dono elargito senza essere stato richiesto, è suo dovere umano ed etico agire in conseguenza di tale decisione.
(p. 50)

Quest'ultimo passaggio è quanto il protagonista (Tony Webster) riporta a proposito della dichiarazione lasciata da Adrian Finn dopo il suo suicidio. Direi che è molto attuale.  

A proposito del tema del ricordo vorrei riportare le ultime citazioni: 

“La storia è quella certezza che prende consistenza là dove le imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezza della documentazione”.
(p. 61)

Quanti luoghi comuni ci portiamo appresso con disinvoltura, dico bene? Ad esempio, che il ricordo corrisponda alla somma di evento più tempo trascorso. E invece funziona in modo molto più strano di così. [...] dovrebbe apparirci ovvio come il tempo per noi non agisca affatto da fissativo, ma piuttosto da solvente. Solo che credere questo non conviene, non serve; non aiuta a tirare avanti; perciò fingiamo di non saperlo.
(p. 65)

Ecco il problema dell’accumulo, [...] c’è differenza tra addizione e crescita.
La mia esistenza si era sviluppata, o solo accumulata? 
(p. 89)

“Il problema dell’accumulo”, [...] Scommetti su una relazione, non funziona; vai alla successiva, e non funziona neanche quella; forse non perdi solo la somma di due sottrazioni, bensì un multiplo di quanto avevi puntato. L’impressione è questa, comunque. La vita non è solo fatta di somme e sottrazioni. C’è anche l’accumulo, la moltiplicazione delle perdite, dei fallimenti.
(p. 104)

C’è l’accumulo. C’è la responsabilità. E al di là di questo, c’è il tempo inquieto. Il tempo molto inquieto.  
(p. 150)

La memoria è imperfetta, il tempo non fissa, ma diluisce. Il tempo non funziona per accumulo, a volte moltiplica. E quando uno pensa al proprio passato, alla propria vita e, magari, anche a una storia ... i ricordi che questi fanno riaffiorare, a volte, creano una non colpevole ma pur sempre responsabile inquietudine



JULIAN BARNES
Il senso di una fine
Einaudi
2012
(17,50 euro)



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