Libro della settimana e libro del 2011 (vincitore del Man Booker Prize): Il senso di una fine di Julian Barnes.
Non sono l'unica che lo ha pensato. Molte sono state le critiche più che eccellenti. E la mia, banale e semplice, non si discosterà più di tanto.
Ho provato un vero interesse nella lettura, una profonda voglia di passare parola dopo parola ... al punto che, se escludo i libri fantasy (dove il mio interesse si concentra prevalentemente sull'azione), l'ultima volta che ho provato tale sensazione è stata leggendo Cecità di Saramago. Se, però, azzardo il paragone, ammetto che sento la mancanza di un po' di spessore (mea culpa).
La semplicità della storia (qui la sinossi, qui sotto una breve presentazione) segue il filo delle pagine fino ai due terzi del libro, poi dopo, come sull'orlo di uno strapiombo improvviso, c'è un vortice di elementi che devono essere assemblati. Mi sono posta la domanda: ma quello che sto pensando, è corretto? Ho seguito bene la lettura delle parole dell'autore? O mi sono persa un pezzo? Sì, perché la sensazione è quella del rimanere sospesi: non sei sicuro delle tue inferenze e nello stesso tempo, l'autore non ti da certezze univoche. L'unica soluzione è rileggere le ultime 20 pagine, circa, e poi ritornare in quello stato di sospensione con la coscienza "a posto" perché, come lettrice, ci ha provato.
Ho già fatto capire che l'incipit del libro mi è molto piaciuto (Questo è un signor incipit!), però ci sono molti passi interessanti. Ve ne riporto alcuni.
Ecco un’altra delle nostre paura:
che la Vita potesse rivelarsi diversa dalla Letteratura. Prendi i nostri
genitori erano forse materiale letterario? Tutt’al più, potevano ambire al
ruolo di astanti, di spettatori, far parte di un fondale umano contro il quale
avvenivano le cose reali, quelle che contano veramente. Tipo? Beh, tutte le
cose di cui si occupa la Letteratura: amore, sesso, morale, amicizia, felicità,
sofferenza, tradimento, adulterio, bene e male, eroi e cattivi, colpevole e
innocenti, ambiziosi, potere, giustizia, rivoluzione, guerra, padri e figli,
madri e figlie, l’individuo in rapporto al sociale, il successo e il fallimento,
l’omicidio, il suicidio, la morte, Dio. E i gufi reali.
(pp. 16-17)
… la vita è un dono elargito non
a seguito di una qualsivoglia richiesta; l’essere pensante ha il dovere
filosofico di esaminare sia la natura dell’esistenza sia le condizioni in cui
essa si manifesta; e, infine, se tale persona decide di rinunciare al suddetto
dono elargito senza essere stato richiesto, è suo dovere umano ed etico agire
in conseguenza di tale decisione.
(p. 50)
Quest'ultimo
passaggio è quanto il protagonista (Tony Webster) riporta a proposito della
dichiarazione lasciata da Adrian Finn dopo il suo suicidio. Direi che è molto
attuale.
A proposito del tema del ricordo vorrei riportare le ultime citazioni:
“La storia è
quella certezza che prende consistenza là dove le imperfezioni della memoria
incontrano le inadeguatezza della documentazione”.
(p. 61)
Quanti luoghi comuni ci portiamo
appresso con disinvoltura, dico bene? Ad esempio, che il ricordo corrisponda
alla somma di evento più tempo trascorso. E invece funziona in modo molto più
strano di così. [...] dovrebbe apparirci ovvio come il tempo per noi non agisca
affatto da fissativo, ma piuttosto da solvente. Solo che credere questo non
conviene, non serve; non aiuta a tirare avanti; perciò fingiamo di non saperlo.
(p. 65)
Ecco il problema dell’accumulo, [...] c’è differenza tra addizione e crescita.
La mia esistenza si era
sviluppata, o solo accumulata?
(p. 89)
“Il problema dell’accumulo”,
[...] Scommetti
su una relazione, non funziona; vai alla successiva, e non funziona neanche
quella; forse non perdi solo la somma di due sottrazioni, bensì un multiplo di
quanto avevi puntato. L’impressione è questa, comunque. La vita non è solo
fatta di somme e sottrazioni. C’è anche l’accumulo, la moltiplicazione delle
perdite, dei fallimenti.
(p. 104)
C’è l’accumulo. C’è la
responsabilità. E al di là di questo, c’è il tempo inquieto. Il tempo molto
inquieto.
(p. 150)
La memoria è imperfetta, il tempo non fissa, ma diluisce. Il tempo non funziona per accumulo, a volte moltiplica. E quando uno pensa al proprio passato, alla propria vita e, magari, anche a una storia ... i ricordi che questi fanno riaffiorare, a volte, creano una non colpevole ma pur sempre responsabile inquietudine.
JULIAN BARNES
Il senso di una fine
Einaudi
2012
(17,50 euro)
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