Le critiche erano già molto buone. Anzi ottime. Non potevo non comprarlo ... solo che non riuscivo a trovarlo facilmente. Poi, un viaggio a Pisa, un giro in centro con i miei genitori e dalla vetrina di una libreria spunta proprio il titolo tanto cercato, Il senso di una fine di Julian Barnes.
Ricordo in ordine sparso:
- un lucido interno polso;
- vapore che sale da un lavello
umido dove qualcuno ha gettato ridendo una padella rovente;
- fiotti di sperma che girano
dentro uno scarico prima di farsi inghiottire per l’intera altezza di un
edificio;
– un fiume che sfida ogni legge
di natura, risalendo la corrente, rovistato onda per onda dalla luce di una
decina di torce elettriche;
- un altro fiume, ampio e grigio, la cui direzione di flusso è resa ingannevole da un vento teso che ne arruffa la superficie;
- una vasca da bagno piena
d’acqua ormai fredda da un pezzo, dietro una porta chiusa.
L'ultima immagine non l'ho propriamente vista, ma quel che si finisce per ricordare non sempre corrisponde a ciò di cui siamo stati testimoni.
L'ultima frase mi è rimasta molto impressa. E probabilmente è anche una delle chiavi di lettura del testo. Testo che ho trovato di una velocità assurda e non riesco ben a capire se sono stata catturata dal senso breve della storia o dal modo di raccontarla. A posteriori, ritengo che forse prevale il secondo elemento. Ma vorrei avere la pazienza di rileggere il testo per capire effettivamente se si tratta di un gran libro oppure di un libro che è stato grande per un certo periodo (o perché era di moda ritenerlo come "il migliore del 2012").
Propongo il successivo passaggio, per me ancora più incisivo:
Viviamo nel tempo; il tempo ci
forgia e ci contiene, eppure non ho mai avuto la sensazione di capirlo fino in
fondo. Non mi riferisco alle varie teorie su curvature e accelerazioni né
all'eventuale esistenza di dimensioni parallele in un altrove qualsiasi. No, sto
parlando del tempo comune, quotidiano, quello che orologi e cronometri ci
assicurano scorra regolarmente: tic tac, tic toc. Esiste al mondo una cosa più
ragionevole di una lancetta dei secondi? Ma a insegnarci la malleabilità del
tempo basta un piccolissimo dolore, il minimo piacere. Certe emozioni lo
accelerano, altre lo rallentano; ogni tanto sembra sparire fino a che in
effetti sparisce sul serio e non si presenta mai più. Non sono particolarmente
interessato ai miei anni di scuola, non ne ho affatto nostalgia. Ma è a scuola
che tutto è cominciato, perciò mi toccherà tornare brevemente su certi eventi
marginali ormai assurti al rango di aneddoti, su alcuni ricordi approssimati
che il tempo ha deformato in certezze. Se da un lato a questo punto non posso
garantire sulla verità dei fatti, dall'altra posso attenermi alla verità delle
impressioni che i fatti hanno prodotto. È il meglio che posso offrire.
Una vera e propria ammissione di poetica in cui si dichiara, con tutta franchezza, che quanto si ricorda e quanto si narra è il residuo di un lavoro personale in cui il tempo è stato "curvato" da una certa emozione.
JULIAN BARNES
Il senso di una fine
Einaudi
2012
(17,50 euro)
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