Lo Scudo di Eracle è un pometto appartenente al IV libro del Catalogo delle donne ddedicato ad Alcmena, madre di Eracle.
L'immissione di questo particolare scudo è interessante. Alcmena è colei che, unitasi a Zeus e a suo marito Anfitrione, generò due gemelli: Eracle, semidio, e Ificle, umano. Il figlio di quest'ultimo, Iolao, è l'auriga e lo scudiero di Eracle quando questo incontra Cicno, figlio di Ares, con il quale viene a duello.
Prima dello scontro Eracle indossa l'armatura e imbraccia lo scudo che viene minuziosamente descritto (v. 139 - 324). Segue poi lo scontro tra Eracle e Cicno al quale assistono Atena, a favore del primo, e Ares, a favore del secondo.
Lo stratagemma narrativo utilizzato dal poeta è tale per cui, con un passaggio brusco e con una formula non ignota all'epica, unisce al brano del Catalogo l'episodio del duello e nel mezzo di questo quello dello scudo, assai simile alla famosa descrizione dello scudo di Achille nel XVIII libro dell'Iliade (dal v. 478).
Il poema è stato erroneamente attribuito a
Esiodo, ma considerando il sistema problematico delle questioni autoriali, si pensi a
Omero per esempio, potrebbe non essere così rilevante. E' per questo che
Lo scudo di Eracle viene anche definito come
poema spurio, in quanto opera non autentica o attribuita falsamente o erroneamente a qualcuno.
Le figure dello scudo si presentano spesso come simboli o allegorie, cioè come segni di passioni e di condizioni più che di personaggi impegnati nell'azione. Ad esempio la Tenebra è una figura realisticamente orrenda, allegoria dei mali della guerra che incombono sulla città.
Le personificazioni e le rappresentazioni hanno i caratteri dell'orrido e del macabro (si pensi alle figure delle Erinni e alle innumerevoli figure di serpenti).
Ci sono molti suoni, rumori (digrignare dei denti), colori e sono anche nominati molti materiali utilizzati che conferiscono un effetto decorativo alla descrizione dello scudo.
Vi riporto alcune parti:
Tutto attorno luceva il gesso, il bianco avorio, l'elettro, e risplendeva il brillare dell'oro: strisce azzurre lo dividevano. In mezzo, Fobo, d'acciaio, nefando, che volgeva indietro lo sguardo con occhi che mandavano fuoco.
a coloro che avessero osato andare in guerra aperta col figlio di Zeus: a questi infatti l'anima va sotto terra, nell'Ade, mentre putrefatta la pelle sotto l'ardente Sirio, le ossa imputridiscono sulla nera terra.
Là v'erano raffigurati l'Inseguimento e il Contrattacco; lo Strepito, l'Uccisione e la Strage balenavano; Eris e la Mischia scorrevano d'intorno, in mezzo la perniciosa Chere [...] ella aveva sulle spalle un mantello grondante sangue umano: terribile era il suo sguardo, strepitante il suo digrignar di denti.
V'erano pure in oro i rapidi corsieri di Ares terribile e lo stesso funesto Ares che porta le spoglie dei vinti, con una lancia in pugno, incoraggiante i guerrieri del suo cocchio, e sporco di sangue
V'era un porto sicuro nell'indomabile mare, curvo e fatto di pretto stagno e pareva che il mar ondeggiasse.
In mezzo, numerosi delfini balzavano in cerca di pesce, come se veramente nuotassero
V'era il figlio di Danae dai bei capelli, Perseo, il cavaliere: mirabile da vedersi, non toccava lo scudo coi piedi e nemmeno ne era staccato, poiché in nessun punto poggiava. [...] mirabile da vedere
Cloto e Lachesi sovrastavano loro; Atropo, più piccola, non sembrava una grande dea, tuttavia era più insigne e più veneranda delle altre.
Tutte intorno a un corpo, facevano un'aspra mischia: furiose, gettavano l'una all'altra sguardi minacciosi, e fra di loro contendevano con le mani e con le unghie audaci.
Vicino c'era una città ben difesa [...]
cori gioiosi [...] danze [...] banchetti, di cori, di feste [...]
Gli aratori, con la tunica succinta, insolcavano la terra sacra [...]
Altri portavano nei cesti il raccolto dei vendemmiatori: grappoli bianchi e neri [...]
Vicino a loro v'era una vigna d'oro, opera preclara di Efesto molto sapiente [...]
Presso loro, alcuni cavalieri gareggiavano a grande fatica, e si contendevano il premio [...] il premio per loro nella lizza era un grande tripode d'oro, preclara opera di Efesto molto sapiente.
Intorno all'orlo scorreva avvolgendo tutto il ben lavorato scudo l'Oceano e sembrava proprio un fiume rigonfio; su di esso alcuni cigni dall'alto volo mandavano forti canti nuotando in gran numero sul pelo dell'acqua; loro vicino guizzavano i pesci. Opera mirabile anche per Zeus dal tuono profondo, per volere del quale Efesto aveva fatto di propria mano il grande e forte scudo.
Apprezzo molto il contrasto tra la violenza delle guerre, assieme alla brutalità della guerra e delle divinità minori del sistema delle divinità greche, e l'amenità della vita della città. Sembra quasi che entrambe possano coesistere ... o almeno soprattutto la seconda possa ancora sopravvivere. Infine, mi piace molto l'idea della chiusura plastica dello scudo con i confini dell'Oceano.
Ultime osservazioni.
L'autore ritrae non tanto uno scudo reale, bensì uno scudo votivo che, riccamente decorato, veniva spesso consacrato in un tempio.
Nel descrivere minuziosamente lo scudo, l'autore si pone in relazione sia con Esiodo sia con Omero. Ma si tratta di una relazione imitativa limitata nella descrizione delle divinità.
ESIODO
(Le opere e i giorni -) Lo scudo di Eracle
BUR
2006
(8,20 euro)