Il testo selezionato è La macchia umana di Philip Roth. Scritto magistralmente. Nulla da aggiungere quando si ha la sensazione di leggere qualcosa di assolutamente perfetto.
Vorrei però fare qualcosa di diverso. Ovvero vorrei non tanto riportare quanto scritto nella prima pagina del romanzo (che, comunque, trovo perfettamente riepilogativa), bensì quanto presente nelle due pagine a seguire. Mai ho letto una così compiuta analisi della società e mai, eccezion fatta per Saramago, ho fagocitato queste due pagine.
L'ESTATE DELL'IPOCRISIA
Roth contestualizza il periodo in cui è vissuto il suo protagonista, Coleman Silk, rievocando perentori giudizi moralistici che spesso sono frutto di idealistici stereotipi. Nulla succede mai per puro caso e le scelte narrative hanno sempre un loro motivo poco arcano, in questo caso, ma molto esemplificativo.
L'ESTATE DELL'IPOCRISIA
L’estate in cui Coleman mi fece le sue confidenze su
Faunia Farley e il loro segreto fu, in modo abbastanza appropriato, l’estate in
cui il segreto di Bill Clinton venne a galla in ogni suo minimo e mortificante
dettaglio: in ogni suo minimo e ‘vivido’ dettaglio, là dove la vita, come
la mortificazione, stillava dall’asprezza dei dati specifici. Non
avevamo avuto una stagione come quella da quando qualcuno era incappato nella
nuova Miss America nuda in un vecchio numero di “Penthouse”, foto di lei
elegantemente in posa in ginocchio e sdraiata sulla schiena che costrinsero la
ragazza, piena di vergogna, a restituire la corona, per diventare, in un
secondo tempo, una celebre pop star. Quella del novantotto del New England fu
un’estate di sole e di uno squisito tepore; l’estate – nel baseball – di una
mitica battaglia tra un dio degli ‘home run’ bianco e un dio degli ‘home run’
di pelle scura; e, in America, l’estate di un’orgia sessuale di bacchettoneria,
un’orgia di purezza nella quale al terrorismo - che aveva rimpiazzato il
comunismo come minaccia permanente alla sicurezza del paese – subentrò, come
dire, il xxx, e un maschio e giovanile presidente di mezza età e
un’impiegata ventunenne impulsiva e innamorata, comportandosi nell’Ufficio
Ovale come due adolescenti in un parcheggio, ravvivarono la più antica
passione collettiva americana, storicamente forse il suo piacere più sleale
e sovversivo: l’estasi dell’ipocrisia.
Roth contestualizza il periodo in cui è vissuto il suo protagonista, Coleman Silk, rievocando perentori giudizi moralistici che spesso sono frutto di idealistici stereotipi. Nulla succede mai per puro caso e le scelte narrative hanno sempre un loro motivo poco arcano, in questo caso, ma molto esemplificativo.
AVER VISSUTO NEL 1998
Nell'aula del Congresso, sulla stampa e alla televisione,
i cialtroni tronfi e morigerati, smaniosi d'incolpare, deplorare e punire, facevano
i moralisti a più non posso: tutti in un parossismo calcolato di quello che
Hawthorne (il quale, negli anni tra il 1860 e il 1870, abitava a non molte
miglia dalla porta di casa mia) identificò, nel paese nascente di tanto tempo
fa, come "lo spirito di persecuzione"; tutti ansiosi di celebrare
gli astringenti riti purificatori che avrebbero estirpato l'xxx dall'esecutivo,
rendendo cosi la situazione abbastanza confortevole e sicura perché la figlia
decenne del senatore Lieberman potesse riprendere a guardare la tivù col suo
imbarazzato paparino. No, se non siete vissuti nel 1998 non sapete cos'è l'ipocrisia.
Il columnist conservatore William F. Buckley scrisse nella sua rubrica: "Quando
lo fece Abelardo, fu possibile evitare che si ripetesse", insinuando che
il modo migliore di rimediare all'illecito presidenziale - quella che Buckley
definiva, altrove, l' "incontinente carnalità di Clinton" - forse non
era una cosa incruenta come l'impeachment ma, piuttosto, il castigo che nel
dodicesimo secolo venne inflitto al canonico Abelardo dal coltello dei compari
del collega ecclesiastico di Abelardo, il canonico Fulberto, per vendicare la
seduzione e il matrimonio segreto con la nipote di Fulberto, la vergine Eloisa.
Diversamente dalla fatwa di Khomeini che condannava a morte Salman Rushdie, l'intenso
desiderio nutrito da Buckley per la pena correttiva della castrazione non
comportava incentivi finanziari per il possibile esecutore. Questa era
suggerita, tuttavia, da uno spirito non meno severo di quello dell'ayatollah, e
in nome di ideali non meno elevati.
Ve la ricordate quell'estate? Io sì. Io mi ricordo due cose principalmente: la prima, la sequenza di immagini di Monica Lewinsky, di Bill Clinton in vacanza e abbracciato a sua moglie; la seconda, i dibattiti televisivi con le presunte ricostruzioni e opinioni sul rapporto marito-moglie e sul tradimento.
Mi ricordo perfettamente quali erano i pensieri miei e quelli della mia famiglia seduti a tavola per cena: ma a me/noi cosa importa della sfera privata di Clinton? Perché ai cittadini e ai parlamentari americani dovrebbe tanto interessare? Certo è vero che questa persona era il Presidente degli Stati Uniti d'America e quando poi in Università studiai Weber, allora capii qualcosa in più: gli uomini politici devono seguire una certa etica nel loro agire. Si tratta dell'etica della responsabilità secondo la quale ogni fatto che avviene nella società produce delle conseguenze,
alle quali il politico si deve adattare; se ciò che sta accadendo si discosta
dai suoi dogmi esso deve, in qualche modo, mediare.
IL GUAZZABUGLIO DI UN'ESTATE NAUSEABONDA
Era estate, in America, quando tornò la nausea, quando non
cessarono gli scherzi, quando non cessarono le congetture e le teorie e le
iperboli, quando l'obbligo morale di spiegare ai propri figli la vita degli
adulti fu abrogato per tenere viva in loro ogni illusione sulla vita degli
adulti, quando la meschinità della gente apparve semplicemente schiacciante, quando
una specie di demone era stato sguinzagliato nel paese e, da ambo le parti, la
gente si chiedeva: "Perché siamo cosi pazzi?", quando uomini e donne,
svegliandosi al mattino, scoprivano che durante la notte, in un sonno che li
aveva trasportati oltre l'invidia o il ribrezzo, avevano sognato la
spudoratezza di Bill Clinton. Sognai io stesso un gigantesco striscione, dadaisticamente
teso come uno degli involucri di Christo da un capo all'altro della Casa Bianca,
con la scritta QUI ABITA UN ESSERE UMANO. Era l'estate in cui - per la
miliardesima volta - il casino, il pasticcio, il guazzabuglio si dimostrò più
sottile dell'ideologia di questo e della moralità di quello. Era l'estate in
cui il pene di un presidente invase la mente di tutti e la vita, in tutta la
sua invereconda sconcezza, ancora una volta disorientò l'America.
La versione inglese dell'ultima frase posta in grassetto qui sopra è la seguente:
the jumble, the mayhem, the mess
proved more subtle than this one's ideology and that one's morality
Trovo che la traduzione italiana di Vincenzo Mantovani dei tre sostantivi sia perfetta, soprattutto del terzo. Il guazzabuglio gaddiano ben rende l'idea dell'elevatezza del mestiere di scrivere, ma soprattutto della difficoltà di individuare e punire il colpevole. Perché alla fine, siamo tutti figli della stessa società.
PHILIP ROTH
La macchia umana
ET Einaudi
2012 - 17esima edizione
(12,50 euro)
P.S. Ho posto delle xxx a livello del primo e secondo paragrafo riportato per una questione molto semplice: questi post li potrebbero leggere diverse persone tra cui i miei stessi nipoti. Non ritengo opportuno, per la loro età, inserire il termine (anche se penso che questo post non lo leggeranno!). Passerò per bigotta, andando contro la linea generale di questo post, però se lo leggessero? Cosa penserebbe la loro madre e come potrei spiegare loro certe cose? (anche se, ripeto, non lo leggeranno!)
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